Il 1 novembre 1969 nasceva ufficialmente l’A.C.R., un’articolazione pensata per i ragazzi da un’Azione Cattolica alle prese con un profondo rinnovamento non solo statutario ma anche di approccio con la società italiana del tempo. In occasione del cinquantesimo anniversario della costituzione del settore, vogliamo ripercorrere gli anni dell’avvio di questa proposta nel nostro territorio con il contributo dei testimoni che hanno fatto la storia dell’A.C.R. trevigiana iniziando da un intervista al suo primo assistente, don Luigi Toffolo.
«L’Azione Cattolica Ragazzi fu fondata nella nostra Diocesi nello stesso periodo di quella nazionale. Io stesso ne sono stato fra i fondatori come primo assistente diocesano del settore. In quegli anni, in cui ero anche assistente spirituale del Collegio Pio X, la Presidenza Nazionale avviò una riflessione sul come strutturare una proposta per i fanciulli cattolici e lo fece con l’aiuto dei migliori esperti dell’educazione. Ricordo che, pochi anni dopo, l’allora Assistente nazionale, il vescovo Marco Cé, mi chiamò a Roma essendo stato fra i papabili a divenire Assistente nazionale della nascente A.C.R.».
Come ebbe inizio a Treviso questo nuovo progetto?
«Si doveva applicare un metodo nuovo. Per preparare i primi animatori A.C.R. si riservò particolare importanza ai campi estivi. Nella formazione degli animatori collaborammo in ambito diocesano ma anche interdiocesano, con gli assistenti delle altre associazioni di Azione Cattolica. Il settore a Treviso vantava già in partenza animatori di qualità che negli anni a venire si sarebbero distinti. Ricordo bene fra loro anche l’attuale presidente diocesano, Ornella Vanzella, non ancora sposata, impegnata con i ragazzi come anche suo marito».
Quali aspetti, quali specificità caratterizzavano l’azione educativa dell’A.C.R. dei primi anni qui a Treviso?
«Treviso si è distinta in quegli anni in particolare per la catechesi: si trattava di dare un taglio particolare alla catechesi per ragazzi con testi pensati per loro o per i loro animatori. Era l’epoca della catechesi cosiddetta esperienziale, sviluppata da una commissione nazionale guidata proprio dal 1969 da mons. Cavallotto, ora vescovo emerito di Cuneo e con la quale ho molto collaborato pubblicando dei testi come il famoso “Rapido 192” rimasti nella memoria dell’Associazione o partecipando in qualità di relatore a molti campi nazionali. Treviso era molto impegnata su questo fronte».
Le comunità parrocchiali e i parroci come vissero la novità dell’A.C.R.?
«I rapporti con le parrocchie e con i parroci erano buoni: si sapeva che questi erano i gruppi che avrebbero dovuto preparare le nuove generazioni di giovani del Paese».
Allarghiamo l’orizzonte a tutta l’Associazione: l’A.C.R. è figlia del riassetto che derivò dalle intuizioni di Bachelet. L’Azione Cattolica di Treviso come reagì alle novità portate dal nuovo Statuto nazionale?
«Bachelet è stata una grande persona. Conoscevo molto bene sia lui che i suoi segretari che lo seguivano anche nell’impegno universitario. La sua riforma fu recepita bene, in modo naturale: si vedeva che era necessaria per lo sviluppo di una formazione cristiana degli adolescenti che avevano bisogno di un taglio legato alla loro età. Prima c’erano comunque percorsi per quelle età (le fiamme, gli angioletti, le beniamine…) ma mancava qualcosa che fosse costruito sui giovani, che li coinvolgesse in pieno».
In quali aree del territorio diocesano l’A.C.R. trovò terreno più fertile nei primi anni?
«Mi viene in mente l’area del veneziano, la zona dell’attuale vicariato di Noale, nella quale collaborarono diversi preti anche non diocesani, fra cui un missionario che ho potuto poi intervistare in veste di giornalista nella sua attività in Amazzonia. Guardando invece all’articolazione dei ragazzi in Italia, l’A.C.R. delle origini aveva la sua ossatura, proprio in diocesi come Treviso, Vicenza e Padova. Qualcosa c’era a Udine e a Venezia e con i miei incarichi nazionali cercavo di seguirle e di aiutarle tutte».
Oggi, molto dei percorsi educativi, soprattutto di quelli pensati per i più piccoli, è mediato attraverso attività pratiche, attraverso il gioco. Questa caratteristica si riscontrava già allora?
«Orientandosi l’A.C.R. a stare con i preadolescenti c’è sempre stata la necessità di recuperare uno stile giocoso che non sempre è stato capito. La nostra A.C.R. era famosa! Ricordo le scenette nelle piazze delle città alla presenza di gente importante, gli skatch con i ragazzini, pensati per farli divertire, ma anche con gli animatori. Ne ho conosciuti tanti di animatori e tanti assistenti».
Erano gli anni della scissione di Comunione e Liberazione: vi fu una diversità di vedute anche fra gli educatori ACR?
«Allora non correva buon sangue fra le due associazioni. Da parte di CL, che è stata sempre comunque una proposta molto seria, c’era stima per il lavoro che conduceva questo settore con i ragazzi. Consideriamo che in AC c’era titubanza per la novità che CL esprimeva: nasce accanto all’AC un’altra Azione Cattolica con la stessa connotazione di indirizzo cristiano e di obbedienza alla chiesa ma diversa. Ci furono posizioni diverse e delle uscite anche qui a Treviso. Lo stesso Dino Boffo che dal 1973 fu responsabile nazionale ACR all’inizio era scettico perché all’epoca si riteneva che l’AC fosse l’unica proposta educativa possibile per i giovani. Come noto, se ne ravvide assestandosi negli anni su posizioni diverse. L’Associazione comprese che CL non era una contraffazione della proposta di AC ma un gruppo diverso, con una tendenza molto più puntigliosa dal punto di vista culturale e questo col tempo portò ad una accoglienza reciproca. C’erano figure, testimonianze cristiane che univano queste esperienze che venivano da una storia comune: sul beato Alberto Marvelli, ad esempio, che fu vicepresidente dei giovani a Rimini ma anche sergente nei motoristi alla Caserma Serena di Dosson, loro chiamarono me, che ebbi la fortuna di conoscerlo molto bene, a tenere un incontro. Ricordo Marvelli che faceva la comunione tutti i giorni a San Lazzaro: qui a Treviso si impegnò con i giovani adulti ma ebbe molti contatti anche con i ragazzi. L’ACR nei 6-7 mesi di presenza di Marvelli a Treviso non era nata e nascerà molti anni dopo ma quella figura univa, era sentita da tutti».
Come fu recepita socialmente l’idea di un settore studiato ad hoc per la formazione dei ragazzi? Come era letto questo impegno rinnovato di un’associazione di laici credenti da parte del mondo politico dell’epoca?
«Quelli con la politica non furono rapporti tesi: c’era una vicendevole accettazione e una volontà di cogliere il positivo dall’entusiasmo di questi giovani che provenivano anche dalle fila degli educatori ACR e più tardi dagli stessi ragazzi cresciuti e che in molti casi scelsero di dedicarsi poi all’impegno politico».
Che giudizio dà oggi di quegli anni?
«C’è stata della sostanza: personalità che sono entrate nel mondo sociale, politico e professionale dando il meglio di sé, non dico facendo fare bella figura alla Chiesa perché la Chiesa non cerca questo ma mostrando come si sono approfonditi i valori cristiani, portando uno stile diverso. Era un’A.C.R. molto attenta ma anche molto vivace, fatta anche di incontri di spiritualità per gli educatori spesso tenuti da missionari. Negli anni immediatamente successivi questa tensione si affievolì un po’. Da quella ACR delle origini è emerso un gruppo che ha dato un’impronta di vitalità cristiana e cattolica a tutti i movimenti che sono sorti in diocesi di carattere storico, educativo ma anche politico. Possiamo dire che molti di quei ragazzi sono divenuti degli adulti che hanno saputo dare testimonianza».
L’A.C.R. che ha conosciuto sin dalla sua fondazione oggi compie cinquant’anni. Che messaggio vuole lasciare agli animatori del 2019 impegnati, oggi come allora, nell’educazione cristiana dei più piccoli?
«Quell’Azione Cattolica dei Ragazzi è stata un’esperienza della nostra chiesa locale, prima ancora che nazionale, molto bella che ha lasciato un’impronta nella storia di Treviso e che ha maturato da un punto di vista cristiano, professionale, politico persone cristiane serie. Altri preti mi hanno riferito, e non deve scandalizzarci, di non sapere dove trovare i giovani, che di giovani impegnati non ce ne sono più: sono meno di un tempo ma ci sono e si impegnano molto nella Chiesa! Io all’A.C. di oggi dico di insistere, di continuare. Guardando a quei tempi sono convinto che ne sia valsa la pena».
Davide Bellacicco