“L’esempio della tua vita, generosa e casta, diventi per tutti un richiamo costante al Vangelo, possa tu essere immagine del Figlio che non venne per essere servito ma per servire, e giungere così con Lui alla gloria del regno di Dio”: è l’augurio del vescovo, Michele Tomasi, al neo diacono, Mattia Gardin, al termine dell’omelia nella celebrazione eucaristica con il rito di ordinazione diaconale. Un momento solenne e gioioso al tempo stesso, al quale hanno partecipato molti giovani, le comunità del Seminario, i famigliari e gli amici, le comunità di origine (Liedolo di San Zenone degli Ezzelini) e di servizio di Mattia (Salzano), i sacerdoti che in questi anni ne hanno accompagnato il cammino.
Nel giorno in cui la Chiesa, in tutto il mondo, prega per le vocazioni, il Vangelo di Giovanni presenta Gesù come il “buon pastore” che dà la vita per le pecore, diversamente dal mercenario. “Se davvero siamo desiderosi di amare come Gesù buon pastore, come il Figlio, ci è data la possibilità di farlo – ha sottolineato il Vescovo, indicando la misura alta dell’amore gratuito -. Ci è dato il potere di amare, come il Figlio, fino al dono della vita. E questo non è impossibile, né insensato. È pienezza del dono di amore, pienezza della vita che non viene tolta da nessuna forza esterna, ma che viene donata nella piena libertà per amore, senza secondi fini, senza cercare altre ricompense, senza voler ottenere altro in cambio se non la relazione stessa d’amore”.
Al termine della celebrazione, la festa è proseguita in Seminario.
L’omelia integrale di mons. Tomasi:
L’amore di Dio è veramente misterioso. È assolutamente gratuito, non richiede nulla in cambio e nulla vuole guadagnare: Dio non è in nessun modo mercenario.
“Dio è amore”: non potremo mai esaurire la comprensione del mistero stesso di Dio, ma tutta la storia della salvezza è il suo tentativo di avvicinare noi uomini alla contemplazione e all’accoglienza di questo mistero. “Dio è amore”.
Dio Padre ama il Figlio, i due sono in una comunicazione eternamente intima di amore, senza confini, senza barriere. “Il Padre è in me, e io nel Padre“, dirà poco dopo le parole che abbiamo appena udito proclamare, e ancora: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. La relazione tra loro – l’essenza di questa relazione – è amore, ed è proprio in questa relazione eterna, assoluta, gratuita che Gesù ci fa entrare e dimorare, senza calcolo alcuno, senza nessuna richiesta o pretesa del benché minimo contraccambio: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”.
La pienezza di vita del Padre dà spazio e respiro alla pienezza di vita del Figlio e viceversa. La pienezza del dono totale di sé del pastore porta alla pienezza di vita delle pecore.
Attingendo agli abissi dell’amore misterioso di Dio Padre che è in Lui, Gesù pastore dà la vita per le pecore. Gesù dà la vita per l’uomo. Lui conosce noi e ci dona di conoscere Lui nello stesso modo in cui si conoscono tra loro il Padre e il Figlio. Lui ama noi e noi siamo resi capaci di amare Lui allo stesso modo in cui il Padre ama il Figlio e questi il Padre.
E si stabilisce e si sviluppa questa stessa relazione di unità amorevole ed amorosa, come tra il pastore e le pecore, così anche delle pecore tra di loro: “ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”. Unità tra gregge e pastore, unità all’interno del gregge.
Dio vive ogni sua relazione senza secondi fini, senza desiderare altro se non la pienezza della relazione stessa. Dio non è mercenario. Il mercenario custodisce le pecore non per amore delle pecore ma per il compenso che gliene deriva. E così, nel momento della prova, questi fugge, non custodisce più le pecore, lasciate ormai a se stesse. Il mercenario ci potrà anche sedurre, ma nel momento della prova ci lascia inevitabilmente smarriti. Gesù è pastore per puro amore delle pecore, la sua ricompensa è solo ed unicamente il bene pieno delle pecore. Egli è amore assoluto e gratuito, ed è per questo che dà la vita per le pecore: l’unica sua ricompensa è il bene delle pecore.
Questa, carissimo Mattia, è la misura della vita donata al Signore Gesù, il buon pastore inviato dal Padre. Questa è l’unica misura di quel modo di vivere che nel linguaggio ecclesiale definiamo – talvolta in modo frettoloso e superficiale – come «pastorale».
La «pastorale», infatti, non è primariamente l’insieme delle azioni che compiamo quando agiamo ad edificazione della comunità cristiana. «Pastorale» è qualcosa di più: la vita di chi abita le relazioni della sua esistenza con la radicalità di Cristo buon pastore, che dà la vita per le sue pecore, e che dona la vita nell’esperienza di ogni sua relazione: con Dio, con gli altri, con il creato, con se stesso. E solo così si edifica, poi, realmente la comunità dei discepoli a servizio del mondo intero.
Questo è un comando del Padre al Figlio, e del Figlio a tutti noi. Ma non è un comando che il Figlio subisce, al contrario, è un comando che Egli «ha il potere» di realizzare, che gli è donato e concesso di realizzare: se, con il Figlio, davvero siamo desiderosi di amare come Lui, di donarci come Lui, di vivere la vita come un mistero di amore e non di lotta o di contrapposizione, allora ne abbiamo la facoltà, ci è data la possibilità di farlo. Ci è dato il potere di amare, fino al dono della vita. E questo non è impossibile, né insensato. È pienezza del dono di amore, pienezza della vita che non viene tolta da nessuna forza esterna, ma che viene donata nella piena libertà per amore, senza secondi fini, senza cercare altre ricompense, senza voler ottenere altro in cambio se non la relazione stessa d’amore.
Il buon pastore vive e indica una logica alternativa a quella che sembra dominare a tutti i livelli della nostra vita contemporanea, le grandi vicende della storia come le nostre vite quotidiane. Ci impedisce di strumentalizzare il nome santissimo di Dio per giustificare interessi particolari, guerre e lotte tra fratelli. Ci sprona ad essere coraggiosi e creativi nelle relazioni sociali, politiche, economiche e personali che possono essere vissute in autentico spirito di gratuità e che non sono destinate ad essere teatro della vittoria del più forte a scapito degli altri. Il buon pastore è accanto a noi e ci guida su strade in cui l’altro non viene mai usato come strumento ma sempre considerato come un fine in se stesso, il creato non viene visto come materia inerte da sfruttare ma come casa comune da abitare con rispetto. Anche la relazione con me stesso cambia assieme al buon pastore: mi posso amare come creatura amata da Dio, senza fare di me un assoluto, o la misura di tutte le cose.
Non ci si impegna dunque nella vita «pastorale» per ottenere sicurezze, per realizzare progetti, per confermare idee od ideologie, per realizzare se stessi indipendentemente da ogni altra realtà. Non lo si fa per ottenere qualche cosa (sia pure la più santa e spirituale), che non sia il dono dell’amore di Dio che si riversa nei cuori e alimenta l’amore a Dio, al prossimo, al creato e – solamente a questo punto – a se stessi.
Caro don Mattia – ti chiamo già così -,
- la tua consacrazione piena al ministero della Chiesa nel diaconato, che riceverai per imposizione delle mie mani, sia configurazione a Cristo venuto per servire. Non sia per te un obbligo od un peso, ma dono della vita grazie alla scoperta dell’amore di Dio per te e per i fratelli e le sorelle, tutti.
- Il servizio della preghiera sia il respiro costante della tua vita, dialogo fecondo con il Figlio, dedizione piena al Padre.
- L’impegno ad una vita casta nel celibato sia fonte di libera donazione, di profonda relazione con tutti che non si appropria di nessuno e nessuno rende dipendente, ma che a tutti gratuitamente si dona per rendere libero ognuno.
- La fiducia in Dio sia unico fondamento di ogni tua scelta e decisione.
- L’Eucaristia sia fonte e modello di ogni tuo passo, ed essa dia forma alla tua esistenza intera.
- L’obbedienza e il filiale rispetto al Vescovo non siano la menomazione della tua libertà, ma tu possa trovare in essi la cornice concreta della gratuità del dono di te che fai al Signore.
Come invocherò a nome di tutta la Chiesa nella preghiera di ordinazione, l’esempio della tua vita, generosa e casta, diventi per tutti un richiamo costante al Vangelo, possa tu essere immagine del Figlio che non venne per essere servito ma per servire, e giungere così con Lui alla gloria del regno di Dio.
Ordinazione diaconale di Mattia Gardin – Cattedrale di Treviso
21 aprile 2024 – omelia del vescovo Michele Tomasi